Maurilio Barozzi
Juantorena
domenica 27 settembre 2009
TRENTO - Chi abbia in mente il playboy che passeggia sul Malecon de l’Avana coi pettorali abbronzati e lo sguardo sfrontato, trascinante promesse di amori travolgenti ed effimeri, resetti il suo immaginario.
Osmany Juantoreña, lo schiacciatore cubano che l’Itas volley sta mettendo sotto contratto, è tutt’altra cosa. Per intenderci: si dice che possa schiacciare da ben oltre i tre metri e mezzo di altezza e, avendolo visto all’opera, posso tranquillamente sottoscrivere, aggiungendo anche un aggettivo sulla potenza di quel tiro: impressionante. Ma non c’è niente in lui dell’esibito.
Questa sua potenza fisica è ben nascosta in un fisico magro, reattivo ma a prima vista esile. Tanto che, racconta lui stesso «quando da piccolo iniziai a praticare lo sport, della pallavolo non mi importava molto. Mi piaceva il basket. Era a quello che volevo giocare. Poi un paio di armadi mi hanno fatto capire a forza di botte sotto canestro che quello probabilmente non era il mio campo». La potenza era nascosta sotto la sua pelle mulatta chiara, stava in agguato nel dna, si potrebbe dire, vista la sua parentela con l’indimenticato campione cubano Alberto Juantoreña, El Caballo, re del mezzofondo negli anni Settanta. «È el primo hermano de mi abuelo, come si dice?» Il cugino di mio nonno. «Ecco. Però io lo chiamo tío, zio», spiega Osmany, sorridendo. Sorride spesso, mentre chiacchieriamo. Mi dà la mano quando lo incontro. Mi ringrazia di averlo intervistato, quando ci salutiamo, battendomi una mano sulla spalla. Insomma, gesti che trasudano il calore latino ma che non hanno proprio niente di quella spocchia che potrebbe avere il forte giocatore universalmente riconosciuto che arriva in Italia circondato anche dalla tenebrosa aura di due anni di squalifica per doping.
È un furbacchione che ha voluto ingannare tutti? A vederlo, a parlare un po’ con lui, parrebbe proprio di no. Basta solo ricordargli quell’episodio che si intristisce. Dagli occhi scompare quella luce di allegria, se ne va anche il sorriso e Osmany si fa malinconico. Si stringe nelle spalle, strapazza la fascia elastica che rigira tra le mani: «Non so cosa sia accaduto, quel giorno a Cartagena, ai giochi Centroamericani. Io so solo che non ho preso nulla. Quando è accaduto, nel luglio del 2006, ero a pezzi, volevo smettere perché mi sembrava di essere difeso male».
Poi, fortunatamente per un ragazzo che all’epoca non aveva ancora compiuto i ventun anni, è intervenuta la famiglia. E l’esperienza del grande campione. Racconta: «Mio zio Alberto e mia mamma mi hanno consigliato di tenere duro di non essere affrettato nelle mie decisioni. Mi hanno ricordato che sono giovane che posso ancora fare molto. Mi hanno detto di continuare ad allenarmi con pazienza che due anni passano. E allora eccomi qua, a Trento, con una grande voglia di giocare: a novembre scade la mia squalifica e ora aspettiamo il transfert da Cuba per poter essere finalmente un giocatore dell’Itas».
Dunque la sua storia è la storia di un talento. Meglio: è la storia di un talento che madre natura ha spedito sulla terra e di cui lui, Osmany Juantoreña, si è impossessato. A Santiago, profondo sud del “lungo ramarro verde”, come definì Cuba il poeta camagüense Guillén, Osmany fu spinto allo sport nella sua scuola. Lo sport ha grande tradizione, là. La pallavolo sforna numerosi campioni, c’è il baseball, l’atletica... Già allora, primi anni Novanta, era molto alto e magro. Non i due metri che misura ora, ma comunque alto. «Come dicevo, smesso con il basket, a scuola mi hanno detto di provare con la pallavolo. Mi spiegavano che era lo sport adatto al mio fisico».
E infatti.
Un po’ di tempo di pratica a scuola e poi l’impegno nella squadra di volley della città, l’Orientale. «All’inizio, fino al 2001, giocavo come palleggiatore. Poi a Santiago sono arrivati degli osservatori che mi hanno proposto di andare a l’Avana, per allenarmi con la nazionale».
Lui è partito. A quindici anni si è messo in viaggio. Dalla città della famosa caserma “della Moncada” dove viveva con i genitori, si è trasferito a nord, alla capitale. Lì si allena la rappresentativa cubana. «Dopo qualche tempo hanno deciso di provarmi nel ruolo di schiacciatore. E, dal 2003, quando avevo diciassette anni, ho cominciato a fare parte integrante del gruppo. Ma come schiacciatore, non più come palleggiatore».
A Cuba, per qualche anno va avanti e indietro da Santiago a l’Avana per giocare con la nazionale e poi, nel torneo nazionale, sempre con l’Orientale di Santiago.
«A Cuba è obbligatorio giocare con la squadra della città in cui si è nati.
Così io dovevo giocare con l’Orientale, anche se abitavo quasi sempre a l’Avana per via degli allenamenti della nazionale».
La consacrazione arriva con la proposta di andare a giocare all’estero. Destinazione: Russia, all’Nieftjanik Ufa. «Per noi pallavolisti cubani - spiega - c’era la possibilità di andare a giocare in Russia senza molte difficoltà burocratiche, per via di un accordo tra i due governi. Solo in Russia, però. Non in altri stati europei».
La sua carriera acquista una statura internazionale. È entrato in pianta stabile nella nazionale cubana rappresentando uno dei suoi pilastri e dopo un paio di stagioni giocati in Russia, si è trovato a disputare i Giochi Centroamericani e caraibici a Cartagena, in Colombia.
È allora che si verifica l’altro punto di svolta della sua vita. Nel luglio 2006, dopo una partita contro Puerto Rico, Osmany è stato trovato positivo ad un controllo antidoping. Senza attendere il risultato delle controanalisi, Cuba non lo convoca per i mondiali in Giappone seguendo il “consiglio” della federazione internazionale. Osmany si sente abbandonato e medita il ritiro. Poi, grazie a tío Alberto e il resto della famiglia, ci ripensa. E ora, visto l’interessamento dei vertici dell’Itas (specie Radostin Stoytchev e Sergio Busato) che avevano avuto modo di vedere all’opera Osmany in Russia, è arrivato a Trento. «La città mi piace molto. Ho qualche amico cubano con cui ogni tanto esco a cena e penso che per un giocatore di pallavolo sia proprio il posto ideale, anche come società. Il problema per me è il clima: è solo settembre e fa già un freddo...». Anche se un po’ di abitudine, con la Russia, dovrebbe averla fatta. Così aspetta fiducioso che scada la sua squalifica e il nulla osta al suo trasferimento a Trento da parte della Federazione cubana. «Non credo che sia una faccenda che si risolverà zac-e-tac, ma penso che riusciremo a farcela: io sono qui regolarmente, sono sposato con una ragazza italiana, Chris, e non sono scappato da Cuba. Non vedo perché non dovrebbe essermi concesso il transfert».
Resta però quell’amaro, quell’ombra che la squalifica ha gettato sulla sua carriera e sulla sua fiducia nella federazione cubana: «Finché le cose staranno così, non giocherò più con la nazionale - dice -. Sono rimasto troppo deluso per ciò che è successo a Cartagena e durante tutta la vicenda. E per la verità la situazione sta cambiando molto, molto lentamente».
Chissà. Di certo oggi Osmany, a ventitré anni, è una bottiglia di champagne sbatacchiata. Aspetta solo quel nulla osta per far saltare un tappo chiuso da molto, molto tempo.
Maurilio Barozzi
L’Adige, 27 settembre 2009
L’ARTICOLO
Pubblicato sull’inserto W Volley del quotidiano L’Adige di domenica 27 settembre 2009 a pagina 23 con il titolo “Juantorena, talento cubano” .
E’ l’articolo che racconta per la prima volta in Italia il fortissimo schiacciatore cubano. Maurilio Barozzi, autore del pezzo, è anche uno dei curatori dell’inserto.