Maurilio Barozzi
Tiro con l’arco: Elena Tonetta va a Pechino
venerdì 29 dicembre 2006
Per Elena Tonetta, diciottenne, arciera della Kappa Cosmos di Rovereto (Tn), il 2006 è certamente stato un anno d’oro.
Oltre ad essersi aggiudicata per il secondo anno di fila il Gran prix europeo, primato assoluto per l’Italia in quanto nessun atleta era riuscito prima a raggiungere tale obiettivo, Elena si è piazzata terza alla World Cup nella finale di Merida (in Messico) e, sempre nella stessa città, è arrivata terza anche ai campionati mondiali juniores. Per questi ed altri risultati minori, è così stata insignita del titolo di Atleta dell’anno dalla Federazione italiana di tiro con l’arco, dalla società arcieri Kappa Cosmos di Rovereto, dall’Associazione veterani dello sport di Malcesine.
Insomma, Elena, un 2006 che si chiude con un bilancio eccezionale, no?
Sì, penso proprio di sì. A maggio le cose hanno iniziato a mettersi davvero bene nelle gare valide per il neonato circuito mondiale chiamato World Cup. Sono arrivata quinta nella gara di Porec, in Croazia. Poi, a giugno sono andata ad Antalya, in Turchia, e anche lì ho ottenuto un ottimo piazzamento. A luglio, a Sassari, ho fatto un altro ottimo risultato che, sommato ai risultati di Croazia e Turchia, mi è valso il titolo per il secondo anno di fila al Gran prix europeo. E tale risultato è molto importante perché nessuna atleta italiana era riuscita a fare questa doppietta, prima.
Poi le cose hanno continuato a filare via, lisce come l’olio. Ad agosto ho gareggiato a El Salvador e a settembre a Shanghai. Questi due ultimi risultati, con quelli di Croazia e Turchia, mi hanno qualificato per la finale World Cup, a Merida, in Messico. E così ad ottobre sono volata là per gareggiare sia nel mondiale juniores, dove mi sono classificata terza, sia per la finale della World cup, dove pure ho concluso al terzo posto.
Quale dei due titoli ti ha dato maggiore soddisfazione?
La World Cup. Anche perché in palio c’erano dei soldi, e vincerli non è stata una cosa da poco.
Giusto per far capire le entrature economiche di uno sport come il tiro con l’arco, quanto c’era su?
Innanzitutto, per dare l’idea, teniamo presente che solitamente c’è molto meno. Comunque, al primo andavano 20 mila dollari; al secondo 10 mila; al terzo 5 mila ed al quarto mille.
Sicché tu hai guadagnato cinquemila dollari nella finale per il terzo posto. Una sfida importante, che valeva quattromila dollari...
Eccome. E sono anche arrivata alla freccia di spareggio. Lo ricordo ancora, quel momento. La mia avversaria ha tirato la sua freccia ed ha fatto “otto”. Mi sono detta: Elena, questa freccia vale quattromila dollari. Bisogna fare “nove”. E l’ho fatto.
Con tali premesse, anche il 2007 sarà molto importante. Anzi, forse lo sarà ancora di più: si dice che la conferma sia più difficile dell’exploit.
Già, non fosse altro che perché in luglio, al Mondiale di Lipsia, ci saranno le qualificazioni per le Olimpiadi di Pechino 2008.
E lì non si può fallire.
No. Ma prima ancora bisogna qualificarsi per la gara iridata. E a ciò va aggiunto che dovrò anche fare la maturità, sempre a luglio. Insomma, sarà davvero un anno duro.
A proposito. È opinione piuttosto diffusa, negli ambienti sportivi, che la scuola non aiuti molto gli atleti, chi pratica sport ad un certo livello. Quasi che la cultura dello sport rimanesse di fatto fuori dalle aule. Che ne pensi?
Diciamo che è dura. Io, lo scorso anno, ho fatto 56 giorni di assenza. Recuperarli è faticoso. E purtroppo spesso c’è poco tempo anche se, per fortuna, il calendario delle gare s’infittisce particolarmente in estate, ma anche autunno e primavera sono densi di appuntamenti. Delle volte, stando via alcuni giorni per partecipare alle gare internazionali, appena rientravo dovevo affrontare temi e interrogazioni. Del resto, era abbastanza normale: c’era bisogno di avere delle valutazioni e quello è l’unico modo per ottenerle.
D’accordo, apprezzo la diplomazia ma cambiamo argomento. Spostiamoci sulle trasferte internazionali. Quando vai in Cina, o in Messico, o in Turchia, come vivi questi spostamenti? Vedi le città? Ti puoi muovere autonomamente?
A essere sinceri si vede poco o niente.
Noi ci muoviamo con uno staff della Federazione che ci accompagna in ogni movimento.
Fammi capire meglio... Per esempio: sei stata a gareggiare a Merida, che è una bellissima città nello Yucatan, in Messico. Come hai vissuto quel viaggio?
No, non puoi pensarlo come un viaggio. Per noi è proprio una trasferta professionale. Arriviamo all’aeroporto. Ci portano in pullman fino all’albergo. Ci rilassiamo un po’ e poi l’unico movimento che facciamo è dall’albergo al campo di tiro. Allenamenti e gare ti assorbono e quando arriva sera resti in camera a riposare. Magari si scherza tra noi arcieri, ma a nessuno salterebbe in mente di uscire. Nemmeno di chiederlo. E, alla fine delle gare: all’aeroporto e via, di nuovo in Italia.
C’è una cosa che mi colpisce. E te la voglio chiedere brutalmente. Cosa è che spinge un ragazzo a praticare a livello sportivo il tiro con l’arco? Mi spiego. A parte il calcio o gli sport che rendono molto famosi, ce ne sono altri che possono affascinare per mille motivi evidenti. Non so... la dico al maschile: vedo Linford Christie in pista, Greg Louganis sul trampolino oppure Massimiliano Rosolino in vasca e ne ammiro il fisico scolpito. Potrei essere spinto da un motivo edonista a praticare i cento metri, i tuffi o il nuoto. Viceversa, vedo una gara di tiro con l’arco, la vince uno decisamente sovrappeso e per di più, guardando, mi annoio...
(Ride) Lo so, il tiro con l’arco non è uno sport televisivo. E neanche “da pubblico”. Infatti io all’inizio nemmeno volevo praticarlo, questo sport. Tutto è iniziato per caso: mi hanno fatto provare e subito il gesto mi è venuto naturale.
Ho vinto un po’ di gare e poi... Mi sono trovata nel vortice di competizioni sempre più importanti. Per me è stato così.
Per te. Ma per gli altri?
Io penso che ci sia, specialmente per i maschi, una ricerca dell’arma primitiva. Penso che tutti, da giovani, siano rimasti colpiti dalle immagini di Robin Hood oppure dei pellerossa che combattevano solo con l’arco e le frecce. Poi c’è il senso del bersaglio. Cercarlo e colpirlo dà una carica interiore.
Alla fine viene il confronto, la gara. Che è sempre con gli altri e con sé stessi. Alla fine c’è anche il senso di imitazione: allenarsi con qualcuno più bravo di te, che ottiene qualche riconoscimento offre un’ulteriore spinta.
Anche per questo tu continui ad allenarti a Rovereto?
Io mi alleno a Rovereto perché è con la società che si fa il 90 per cento del lavoro. Poi qui c’è ormai una certa attenzione e tradizione per questo sport. Il comune sta per preparare un palazzetto di tiro con l’arco e, in più, a Rovereto mi allenano Mario Ruele e, per la parte atletica, Andro Ferrari che mi pare possano essere considerati tra i migliori preparatori in circolazione.
E la Federazione italiana, per i suoi atleti migliori fa qualche cosa?
Beh, loro organizzano le partecipazioni alle grandi competizioni. Inoltre, va sottolineato che per me e qualche altra atleta, sottoscrivono un budget mensile che ci serve da borsa di studio. E anche questo non è uno sforzo da sottovalutare.
All’estero come funziona?
Dipende. In molti stati funziona esattamente come da noi, con gli atleti che si preparano nella loro società e poi i migliori vanno in nazionale in occasione delle gare. In altri, invece, dove il tiro con l’arco è più considerato, ci sono veri e propri centri nazionali per l’allenamento dei migliori.
Quali sono gli stati che puntano molto sul tiro con l’arco?
La nazione leader è la Corea, dove il tiro è lo sport nazionale. Ma emergenti sono la Cina, l’India, la Russia, l’Australia. Messi bene sono anche Turchia, Ucraina, Polonia e Taiwan.
Dunque sarà durissima qualificarsi alle Olimpiadi.
Certo, non sarà facile. Si qualificano le otto nazionali meglio classificate al Mondiale, dunque le tre atlete che fanno parte della rappresentativa. Oltre a queste le 32 atlete meglio piazzate nell’individuale. Su circa 150 partecipanti qualificate.
Allora se, passando per Rovereto, udiremo sibilare frecce vaganti capiremo che ti stai allenando.
Eh sì. Ma ma non dovranno essere troppo vaganti...
Maurilio Barozzi
in l’Adige 29 dicembre 2006
La storia:
Una cosa è sicura: se quando la freccia è partita - e arrivata, perché ci impiega un attimo - il viso dell’arciere cambia espressione, fa una smorfia, fa un sorriso, il prossimo tiro sarà uno schifo.
E allora quando abbassa l’arco, il tiratore deve essere impassibile, mantenere self-control, respirare sempre regolare. Facile a dirsi, meno a farsi.
E meno ancora se sei una ragazzina di quattrodici anni che ha appena finito le medie e adesso andrà a fare il linguistico. Eppure... Lei si chiama Elena, Tonetta Elena per la tassonomia, ha gli occhi grandi e marroni, tagliati leggermente in giù ma sorride sempre. Tuttavia quando va al poligono del tiro non sorride. Porta un cappellino che le copre gli occhi alla vista degli altri (dunque non si potrebbe dire se sono tagliati in giù o in su) e sfionda frecce in un paglione a settanta metri a pochi millimetri l’una dall’altra. Evidentemente per l’arco è già orientata, degli occhi può quasi farne a meno. «Quando mi alleno gli occhi li chiudo - dice -. E le frecce si conficcano tutte nello stesso punto del paglione». Il paglione sarebbe quel cerchio di paglia su cui è poggiato il centro, per intendersi. Elena abita a Mori ed è appena tornata dalla Repubblica Ceka dove ha vinto - assieme a Maura Frigeri (Bergamo), Pia Carmen Maria Lionetti (Barletta) e Carla Frangilli (Milano) - i campionati del mondo di tiro con l’arco a squadre. Là rappresentava l’Italia. Dicevamo degli occhi chiusi e della freccia che va sempre nello stesso punto. Detta così pare una sbruffonata o una cosa naturale. Nessuna delle due. Meglio: forse un po’ tutte e due ma dietro ci sta soprattutto molto, molto allenamento. «Mi sono allenata tre ore al giorno per quasi tre mesi, prima dei Mondiali. E anche gli altri giorni, continuo a tirare con il mio preparatore Renzo Ruele (nella foto), anche se un po’ meno tempo». Del resto: nel 2000 Elena ha disputato qualche cosa come 50 gare: considerando che si gareggia solo nel week end quell’anno ne ha saltati solo un paio. E il resto è sempre stata in giro per l’Italia con l’arco in mano e i suoi allenatori (tra i quali si deve contare anche papà Andrea che le prepara l’arco e - con il binocolo, da lontano in modo che lei non si accorga - osserva ogni tiro). Aveva dodici anni. Ora le gare che fa sono meno, ma diciamo che comunque la maggior parte dei fine settimana li passa con i genitori in camper a tirar frecce nei paglioni d’Europa. Tutto è cominciato qualche anno fa. Lei andava al campo di arco a vedere il fratello e il papà che facevano i Robin Hood. E dai una volta, e dai due, un giorno ha preso l’arco in mano ed ha provato. Centro. Le hanno fatto riprovare: le frecce andavano proprio dove dovevano. Da quel giorno ha smesso di fare ginnastica artistica, che praticava dall’età di sei anni, e si è dedicata al tiro con l’arco. «E alla pallamano» sorride lei. Precisando che però proprio grazie alla ginnastica probabilmente ha acquisito un buon equilibrio che le consente di tirare con scioltezza.
Se guardi il suo medagliere ti viene di tutto. In poco più di quattro anni - da quando ha iniziato -: ai campionati italiani ha vinto tre medaglie d’oro individuali e quattro a squadre; un argento individuale e uno a squadre e un bronzo individuale. Ai campionati d’Europa un oro e un bronzo a squadre e un argento individuale. Ora c’è anche un oro a squadre ai recenti Mondiali.
Vince in ogni specialità: indoor (18 e 25 metri), Fita (distanze dai 20 ai 70 metri) e Hunter field (a distanze variabili, nei boschi). E vince anche nelle categorie oltre la sua. Insomma, è il suo sport. Renzo Ruele e papà Andrea - istruttori della Kosmos Rovereto, che conta una trentina di ragazzini tra i 9 e i 12 anni - sono quasi sicuri che Elena parteciperà alle Olimpiadi di Atene, tra due anni. Ma lei è convinta di no. Sorride, ci spera, ma pensa che la considereranno ancora troppo giovane (avrà 16 anni). Comunque ci saranno senz’altro quelle dopo: allora ne avrà venti, di anni. «Sempre che continui così» fa lei, sempre sorridendo. Già. Perché far gare 50 domeniche all’anno - anche se incontra due, trecento concorrenti ogni volta, ha costruito amicizie e un gruppo solido - non è facile. Come tenere la concentrazione per ore su un centro. Serve tenere duro. Ci sarebbe ancora da capire come fa a tenere duro una ragazzina che ha quattordici anni, ne dimostra sedici, a far gare su gare in uno sport che non rende una lira, che non fa urlare di gioia ma allena a non farlo mai, che alla televisione nessuno lo guarda perché è barboso (da vedere, ovvio), e che i migliori al mondo - «inattaccabili, insuperabili» dice - sono i coreani, quelli piccolini con gli occhi a mandorla e il viso schiacciato che ci hanno sbattuto fuori dai recenti mondiali di calcio (che invece doveva essere il nostro sport, non so se mi spiego). Ci sarebbe da capire tutto questo. Ma forse, invece, non c’è niente da capire. E’ semplicemente così.
Maurilio Barozzi
in l’Adige 26 agosto 2002 p.23 “Elena la freccia d’oro”
L’ARTICOLO
Pubblicato venerdì 29 dicembre 2006 sul quotidiano l’Adige a pagina 49 col titolo “Signori, ecco la nuova Robin Hood”