Maurilio Barozzi
Simoni re dello Zoncolan
31 maggio 2007 - L’Adige
MONTE ZONCOLAN - Poteva essere un Golgota, questa durissima salita. Un monte di passione o per Gilberto Simoni, che a 3 minuti e 19" dalla maglia rosa Di Luca avrebbe potuto crollare e dire definitivamente addio ad ogni speranza. Magari tradito dal fido Piepoli, prima che il gallo cantasse tre volte. O anche per Di Luca, che ieri mattina aveva sì un buon margine di vantaggio, ma non sufficiente per potersi dire sicuro della vittoria: nel caso fosse sopraggiunta «la bambola» tutto sarebbe tornato in discussione. Avrebbe potuto essere tutto questo. Così, quando, ai piedi del monte, Simoni e Piepoli hanno iniziato a pigiare davvero forte sui pedali, tutti sono rimasti incollati alla strada e agli orologi per vedere cosa sarebbe realmente accaduto. Erano saliti in circa centomila, ieri mattina, fino al passo Zoncolan per vedere i ciclisti affrontare quella salita, terribile. Centomila sparsi lungo un decina di chilometri di strada in salita. Mediamente al 12% con punte del 22%. Insomma, un bel muro già definito «la salita più dura d'Europa», tanto che l'allenatore di calcio Guidolin - habitué della due ruote e dei Processi alla tappa - una volta confessò di aver dovuto mettere i piedi a terra, risalendolo. Poi aveva precisato che montava sulla sua bici il rapporto 39x23. «Sarebbe servito il 25», disse. E lo credo bene. Tanto che Danilo Di Luca, ha montato il 36x29, altro che 23. Ed ha pure dichiarato di averla affrontata tutta con il rapporto più morbido! Lo stesso Simoni, l'asso della salita che aveva già vinto quassù nel 2003 e che ieri ha concesso il bis dando spettacolo con una risalita del monte dal versante più duro in 39'e07" a 15,5 km/h di media, è salito spingendo il 34x29. Per capirci: ogni pedalata la bici avanza di 2,45 metri. A proposito di salite. Quella che contende allo Zoncolan la palma di erta più dura d'Europa è l'Angliru, nelle Asturie (Spagna). Si dice che Roberto Heras, lo spagnolo vincitore di tre edizioni della Vuelta, per affrontare quella tappa, nel 2000, montò la tripla, lui che era scalatore! Arrivò terzo... Urka, ripensandoci c'è un altro tratto comune tra queste due durissime salite: Simoni che taglia il traguardo a mani alzate. E ieri «il vecchietto», come lo ha chiamato Di Luca in conferenza stampa, ha fatto tris. Poteva essere un Golgota, si diceva. E se uno arrivasse sul traguardo all'arrivo dei corridori, potrebbe pensare proprio a quell'immagine, guardandone la faccia. Quando arrivano in cima non esiste più. Vedi solo occhi sbarrati, denti e orecchie. La faccia non c'è. Se la sono presa la strada, la montagna, la fatica. Un Golgota. Ieri però una faccia c'era. Piena, bella, finalmente di nuovo sorridente dopo tante incazzature, qualche polemica, alcune battute fuori misura: quella di Simoni da Palù di Giovo. Detto Gibo. E al diavolo anche la fatica. Chi ama il ciclismo, quassù, in mezzo a quasi centomila tra cui molti giapponesi, tedeschi, austriaci, francesi sloveni, ha certamente ripercorso alcune immagini della sua personale memoria: quella gara del 2003. Vinse Gibo, come detto - ieri definitivamente incoronato re dello Zoncolan - ma quinto arrivò Pantani. Dopo il travaglio del doping, sembrava essere tornato un corridore competitivo, invece fu il canto del cigno. Purtroppo anche gare così, dure, selettive, vere che pensi mettano a nudo qualsiasi aspetto di una persona non riescono a scalfire l'intimo di un uomo che non pensava più a vincere. E che invece covava una tragica, inimmaginabile sorpresa. Sorvoliamo e torniamo a ieri. Un killer, di solito, uccide. È il suo mestiere. Ma ieri Di Luca - detto appunto Killer - non lo ha fatto. Si è difeso. Attaccato dal suo avversario più temibile «il vecchietto», ha stretto i denti. Ma non ha ucciso. E forse il bello di questo Giro d'Italia, che fa arrampicare centomila persone in cima ad una montagna in culo al mondo, dopo averne fatte salire altrettante domenica scorsa alle Tre Cime di Lavaredo, è proprio questo: il killer non è un killer. C'è un atleta in ottima forma che sa vincere ed aspettare. C'è un trentaseienne che da quasi due lustri finisce sempre tra i primi e che ancora non ha intenzione di mollare. C'è un ragazzotto di 22 anni alto un metro e novanta che pesa sessantasei chili che fa incetta di azioni per il futuro, ora che ancora non costano molto. E c'è un Principino - Cunego - che non diventerà re. Ma che non vuole nemmeno retrocedere a semplice conte o marchese. E che non svende il suo talento. Il talento. Ecco l'ultimo ingrediente che rende tali i campioni. Quando si dice che i grandi atleti hanno un talento naturale ci si riferisce al fatto che sanno fare ciò che in quel momento è giusto fare senza pensare. O meglio, senza accorgersi di pensare: impiegano una frazione di secondo a scegliere la soluzione più opportuna. Poi procedono e risolvono: ciò a cui pensano, in quei momenti, è niente. Si pongono degli obiettivi intermedi («questo chilometro, poi spiana; ancora questo chilometro»); poi altri. È così che si sopporta la fatica. Lo ha raccontato chiaro, ieri, lo stesso Di Luca. E, quando un intervistatore gli ha riferito della poesia della sua pedalata, ha sorriso: «La poesia la vedete voi che guardate, quando sei lì c'è solo la salita, gli avversari e tu che devi dare il massimo». Già, percorrere una salita a dieci all'ora, ciondolando con le spalle, stringendo i denti e sbavando fatica forse non può essere chiamato poesia. Ma talento ciclistico sì. Di sicuro.
All’arrivo:
1. Gilberto Simoni (Ita/Saunier) in 3.51'52''
2. Leonardo Piepoli st
3. Andy Schleck (Lus) a 7''
4. Danilo Di Luca a 31''
5. Damiano Cunego a 37''
6. Massimo Codol a 58''
7. JUlio Perez Cuapio (Mes) a 1'19''
8. Franco Pelizzotti a 1'40''
9. Marzio Bruseghin a 1'57''
10. Ivan Parra (Col) a 2'02''
Maurilio Barozzi
su l’Adige 31 maggio 2007
L’ARTICOLO
Pubblicato con il titolo “Nessun tradimento sul Golgota” l’indicazione “dall’inviato Maurilio Barozzi” a pag. 49 sul quotidiano L’Adige del 31 maggio 2007.