Maurilio Barozzi
Giro 2008: Pampeago, ecco il ranocchio
25 maggio 2008 - L’Adige
ALPE DI PAMPEAGO – Hai un bel dire, attacca. Quando la tappa ha delle pendenze come quelle di ieri, allora arrivare in fondo, anzi in cima, è già molto. E così l’impresa compiuta da Emanuele Sella, sull’Alpe di Pampeago, arrivato sul traguardo in solitaria dopo 180 chilometri di fuga, è ancora più memorabile.
Partiti da Verona, già alla prima salitella di Cerro Veronese scatta un drappello di corridori, tra i quali appunto Sella, Rujano, Wegelius e il campione del mondo Bettini.
Il gruppo riesce ad acquisire un vantaggio che oscilla attorno ai sette minuti sulle strade che dal Veneto portano in Trentino attraverso Avio, Ala, Mori e la Destra Adige palcoscenico improvvisato di per chiunque ami il ciclismo. E, a giudicare dalla partecipazione sulle strade, tra famiglie, gruppi di amici, bambini, fidanzati e robe varie gli appassionati sono moltissimi.
Qualcuno pensa che la fuga di Sella e compagnia sia più che altro un escamotage per beccarsi gli applausi destinati ai battistrada. Ma, dopo che sulla Valsorda il vantaggio non diminuisce, la storia cambia.
A Telve, imboccato il bivio per il passo del Manghen, la strada inizia a salire davvero. E attraverso la vegetazione fitta si possono intravedere nuvoloni neri, il che potrebbe suonare come una minaccia, per i superstiziosi. Non lo sono le decine di migliaia di tifosi che affollano imperterriti l’ascesa per il passo. Non lo è nemmeno Sella. Che se ne frega altamente della malasorte che lo aveva maltrattato fino ad ora. Pensa alle parole che il suo ds Bruno Reverberi gli aveva sussurrato all’orecchio in mattinata: «Se ti pare che parta la fuga giusta, infilati. Poi, se ti portano ai piedi del Manghen, dove è posto il Gran premio della Montagna, puoi cercare di guadagnare punti preziosi per la tua maglia verde». Ai piedi lo hanno portato. «Hanno tirato molto, i miei compagni di fuga. Hanno fatto un bel lavoro. Poi, nella penultima salita, sono venuto fuori io», racconterà più tardi Sella. A 50 dall’arrivo, il piccoletto di Vicenza saluta tutti. E da quel momento è una fuga solitaria. Beh, certo, all’inizio ci hanno provato a mettergli il sale sulla coda, ma poi il gruppo con Gilberto Simoni e i migliori ha capito che non c’era più niente da fare.
Sella scala il Manghen passando in mezzo a due ali di folla che si aprono come le acque del mar Rosso al passaggio di Mosé. Stringe i denti, sbuffa sbave di rabbia ma va su. «Forza Emanuele», gli gridano. Lo conoscono anche in Trentino, Sella. In passato ha anche avuto una liaison con la ciclista Tamanini. Ma lui adesso pensa solo alla vittoria. All’imbocco dell’ultima salita, quella per l’Alpe di Pampeago, ha un vantaggio ancora superiore sugli inseguitori di classifica, siamo sui dieci minuti. Ormai è fatta.
Per terra le scritte che inneggiano a Simoni, agli asini di Bruseghin («anca i muss i tifa Bruss»), a Riccò («poveri si nasce, Riccò si diventa»), all’argomento più dibattuto al mondo («w la ...», ci siamo capiti.
Gli ultimi chilometri sono durissimi. Racconterà: «Non ce la facevo più. Mi facevano male le gambe e c’era talmente confusione sulla strada che non riuscivo a sentire quello che mi dicevano dall’ammiraglia. Una bolgia».
Poi l’arrivo. La soddisfazione. Le lacrime. La gioia: «Sapevo di aver preparato il Giro molto bene ed ero qui per vincere una tappa e oggi ci sono riuscito, ricompensato per tutta la sfortuna che ho avuto finora». Probabilmente lassù qualcuno lo ama, ha ammesso lui stesso in conferenza stampa. Intanto Simoni, sempre coriaceo, arriva nono e lima ancora qualche secondo in classifica generale. Ora, quando si parte per la Marmolada, è ottavo a 1’31” dalla nuova maglia rosa Bosisio. Tutto può accadere.
Maurilio Barozzi
su l’Adige 25 maggio 2008
L’ARTICOLO
Pubblicato col titolo “Emanuele l’attaccante ci crede e piazza l’impresa” a pag. 54 sul quotidiano l’Adige del 25 maggio 2008 con l’indicazione “dall’inviato Maurilio Barozzi”.