Maurilio Barozzi
Basso, risurrezione sullo Zoncolan
24 maggio 2010
MONTE ZONCOLAN (UD) – La prima volta che si è messo in piedi sui pedali, Ivan Basso si è scrollato di dosso Cadel Evans. Dal via di Mestre, erano passati duecentodiciotto chilometri e tre gran premi della montagna come il Sella Chianzutan, quello selettivo del Duron e il Sella Valcalda. E soprattutto erano già passati sei chilometri e rotti della ripidissima ascesa dello Zoncolan. Una salita capace di togliere fiato, forza, resistenza. Una salita che nasconde le sue insidie ad ogni metro. Così, quando mancavano soltanto 3,7 chilometri alla vetta, Basso per la prima volta si è messo sui pedali. Evans, fino a quel momento l'unico capace di rimanergli a ruota scartando e sbuffando fatica rabbiosa come un bufalo, gli ha lasciato un metro. E' la fine della tappa. Inesorabile, Basso è salito composto e potente. Evans lo ha guardato andare via pedalata dopo pedalata, con la distanza che subito si è fatta distacco. In quel tratto, tanto breve quanto drammaticamente impervio, Basso si è preso un minuto e 19 secondi sul campione del mondo e ha riaperto il suo discorso diretto con la classifica finale del Giro d'Italia. Ora è terzo a 3'33'' da Arroyo e a meno di un minuto da Porte. Dietro alla coppia Basso Evans, uno Scarponi che ha tenuto con i denti fino alla fine, salendo con il suo passo quando, nella parte centrale della salita finale, ha compreso che l'andatura di Basso e Evans per lui sarebbe stata insostenibile. E ci voleva grande lucidità e freddezza per non lasciarsi prendere dalla foga di cercare di rimanere attaccati a quel treno, specie in uno scenario, quello dello Zoncolan, che poteva fare di tutto per incitare a spremersi fino all'ultima goccia, subito. Il pubblico che grida e incita, la consapevolezza che tutti gli altri contendenti stanno via via crollando aggrediti inesorabilmente dalla fatica, la speranza di trovare forze nuove raschiando fino a consumarlo il barile delle energie in vista di un obiettivo concreto come il rientro in classifica in grande stile dopo la pazza e sconvolgente tappa de L'Aquila. Tutto questo poteva far perdere la bussola al marchigiano, dargli l'illusione di farcela a restare lì. Illusione che poi avrebbe pagato caro. Invece così, lottando solo con se stesso, ha saputo tenere il distacco entro un limite accettabile: 1'30''. Proprio come è riuscito a fare – con medesima capacità di lettura della salita – Cunego, giunto quarto a 1'58''.
Anche questa tappa era partita, come ormai è diventato un leit motiv di questo Giro d'Italia numero 93, con una fuga. Ma stavolta in realtà nessuno aveva dato credito ai sei fuggitivi: Turpin, Rodriguez, Le Floch, Sijmens, Pineau e Reda avrebbero dovuto fare i conti con una salita che non lascia scampo a chi ha sprecato troppo. E una fuga così lunga – pur avendo fruttato anche 14' di vantaggio sul gruppo – non poteva sopravvivere alle rampe del 22% che costellano l'ultima salita. Già a 50 chilometri dal traguardo la sortita ha segnato il passo. La Liquigas ha messo davanti i suoi e per i fuggiaschi è risultato chiaro che sarebbe stata una giornata di sola speranza. A Paularo, paese natio del padre di Pellizotti dove le strade erano cosparse di scritte per il corridore friulano («Il Giro senza Pellizotti è come Capodanno senza botti»), il gruppo ha iniziato ad avvicinarsi ai sei e in cima alla salita, il passo del Duron, il distacco dal gruppo dei migliori era di 4'56''. Già in quella salita si vedevano le intenzioni di Basso. Che saliva tonico e deciso, circondato da tutti i suoi compagni di squadra, mentre quasi tutti gli altri uomini di classifica li avevano persi per strada. Simoni, come un leone, si aggrappava con i denti e con la forza di chi sa di avere un appuntamento con la storia, al gruppo dei migliori e soltanto sull'ultima asperità, quella che lo aveva visto trionfare nel 2003 e nel 2007 – lo Zoncolan –, ha perso terreno.
E proprio sull'ultima salita, quando erano già passati 212 km e ne restavano solo dieci da percorrere, Scarponi, Basso, Evans aumentavano. Sfilacciavano il gruppo degli uomini di classifica, lasciando indietro Vinokourov e Sastre. Braccavano i fuggiaschi fino ad agguantarli. Dunque li superavano e iniziavano la loro battaglia. Un triello degno di un film di Sergio Leone che allo scoccare del quinto chilometro, come fosse il termine di suono del carillon, perdeva un protagonista. Diventava un duello. Vinto da Basso.
L’ARTICOLO
Pubblicato sul quotidiano l’Adige del 24 maggio 2010 con l’indicazione “dall’inviato Maurilio Barozzi”.