Maurilio Barozzi
Uomini Under 23, ecco Schurter
sabato 21 giugno 2008
COMMEZZADURA (Val di Sole) – E allora ha vinto Nino. Finalmente, dirà qualcuno. Il piccolo problema per i patriottici che gioiscono al grido di Nino vincitore è che di cognome fa Schurter ed è svizzero, guarda caso. Così bisogna solo accontentarsi di pensare che quel Nino è davvero fortissimo, e ieri si è vinto il Mondiale under 23 di cross country come ha voluto. Dopo che per giunta, martedì, era stato il castigatore della staffetta azzurra, andando a rubare la medaglia d’argento che ormai tutti pensavano già nella cassaforte della Federazione italiana. Niente da fare: una quarta frazione imperiosa ai danni dell’italiano Cristian Cominelli l’ha portata a Berna.
Il ragazzo è fortissimo, si diceva. «Bella consolazione», ironizzerebbe Osvaldo Soriano. Ma, come già detto, in tempi di vacche magre ci si deve consolare. E chi si contenta... Esatto!
Questo atleta è partito tranquillo, per lui s’intende, si è incollato al sudafricano Burry Stander, ed ha fatto quattro dei sei giri del tragitto in sua compagnia, quasi sua nonna lo avesse esortato a non passeggiare solo nel bosco. Poi ha aperto il gas. Nel penultimo giro ha mollato il suo compagno di fuga ed è partito. Bye bye, e chissenefrega dei consigli della nonna. La gara è finita lì. L’ultimo giro è stato proprio una passeggiata per lui e un’agonia per Stander, più De Klerk che Mandela visti i suoi ricciolini biondi che da ormai si vedono solo sui santini (non elettorali, s’intende).
Dietro, gli altri facevano gara a sé. Si fa per dire: Matthias Flückiger, anche lui svizzero, alla fine del primo giro era terzo (già staccato di una quindicina di secondi, per capirci). E ci è rimasto fino alla fine, con una piccola parentesi nel quarto per delle noie tecniche. Quarto è arrivato Fabian Giger, di nuovo guarda un po’, svizzero, anche lui già assestato in graduatoria dopo il primo passaggio dei sei chilometri (5,8 per la precisione). Insomma, considerando anche il fatto che a fine gara è stato premiato Thomas Frischknecht – elvetico pure lui - come super atleta della mountain bike che ha partecipato a tutti i Mondiali finora disputati, da Durango 1990 ad oggi, “Svizzera sugli scudi”, si potrebbe dire. Ma sarebbe abusare di una frase che più fatta non si può, così meglio evitare.
Invece, stendendo un velo sulla prestazione degli italiani (il primo, Johannes Schweiggl ha chiuso ventitreesimo a quasi un quarto d’ora da Nino), e riprendendo il concetto del primo Mondiale di mountain bike svoltosi nel 1990, si potrebbe aprire una parentesi sulla natura di questo sport, affiliato alla Federazione ciclistica. E tale parentesi ha come titolo: «Affinità e divergenze tra il popolare ciclismo e il mtb, del conseguimento della maggiore età». Già perché le affinità si riducono al fatto che in entrambi gli sport c’è un essere umano che sta su un oggetto con due ruote e per procedere è costretto a fare girare dei pedali. Stop. Il resto è tutto un altro mondo. Diverso il terreno. Diverse le bici. Diverse le tattiche di gara: nel cross country non esistono fughe bidone, gruppi che tirano, treni di volata. Nel cross country si parte e via, chi ne ha va davanti e l altri s’attaccano. Al massimo si può sperare che qualcuno spacchi la bici o caschi (niente di improbabile, viste le peripezie). E in genere diversi sono anche i tifosi: decisamente più giovani e anche, pare, meno fantasiosi. Qui, ai Mondiali in Val di Sole, i pochi striscioni inneggiano a una nazione, a volte a un campione, ma ne riportano il nome e buonanotte. Manco c’è traccia degli epici «Gli alpini salutano il Giro», dei calambouristici «Viva la fuga» o degli allusivi «Mi pippo sempre», esposto con vanto al Mondiale su strada di Stoccarda l’anno scorso. E l’allusione era a Pippo Pozzato, sia chiaro. Ma a sparigliare definitivamente, ci sono le palline da spiaggia. Quelle con le facce dei ciclisti. Ci sono Binda, Motta, Gimondi, Moser forse Zandegù (anche se confesso di non averla mai vista, quella). Probabilmente in Svizzera c’è quella di Frischknecht, ma qui in Italia no, nemmeno quella di Pallhuber che ha vinto il Mondiale nel 1997. Ecco la vera differenza.
Così, in attesa che questo sport maturi ed acquisisca una storia (e campionissimi) anche in Italia, e Dio sa in quanti siano ad aspettarlo, ci sono le prossime gare in programma. La Downhill di oggi e la cross country elite di domani. In un’altra medaglia ci si crede sempre per riscattare queste giornate abbastanza opache. Più che in un Angelo vendicatore alla Buñuel, aspettiamo che Alan Beggin, Eva Lechner o Marco Aurelio Fontana trasfigurino in un tarantiniano signor Lupo, quello che in Pulp Fiction diceva: «Sono Wolf, risolvo problemi». Ecco, appunto. Poi arriveranno le palline.
maurilio barozzi
l’Adige 21 giugno 2008
L’ARTICOLO
Pubblicato a pagina 57 con il titolo “Nino l’elvetico non ha proprio rivali” e l’indicazione “dall’inviato Maurilio Barozzi” sul quotidiano L’Adige del 21 giugno 2008.
Fa parte di una serie di servizi realizzati dalla Val di Sole (Trentino) in occasione della settimana dei Campionati mondiali di Mountain Bike 2008.