Maurilio Barozzi
Downhill mondiale
domenica 22 giugno 2008
COMMEZZADURA (Val di Sole, Trentino) – Non è un paese per vecchi, durante questi Mondiali, Commezzadura. Lungo il pendio che fa schizzare dal paradiso i ciclisti verso l’arrivo, ci sono giovanotti, padri di giovanotti, amici di giovanotti e giovanotte. Tutti a naso all’insù che aspettano i folli discesisti della mountain bike al ritmo della musica house. Downhill, si chiama la specialità. E consiste nel buttarsi in discesa a capofitto con la bicicletta lungo un tracciato spaccacollo di due chilometri e 250 metri (questo tracciato da Pippo Marani) in mezzo al bosco.
Se la madre di qualcuno di voi (o la mia, a suo tempo) sapesse che partite da casa per fare questa disciplina, come minimo vi bucherebbe le ruote della bici. Qui evidentemente non funziona così. E tantomeno funziona così in casa Atherton, visto che i due rampolli di casa si sono portati via le medaglie d‘oro maschile (Gee) e femminile (Rachel). Inglesi di Salisbury, classe ’85 e ’87, questi. Come gli Abbagnale, potrebbe pensare qualcuno, anche se qui la barca non è la stessa. Fuori di testa, dirà qualcun altro, vedendo come scendono in bici lungo sentieri tra tronchi di alberi, sassi sporgenti e pendenze impressionanti. Due chilometri e 250, si diceva. Percorsi dal recordman Gee in 3 minuti e 12 secondi. Ogni commento è inutile. «Penso che sia il tempo minore che ci si può impiegare con qualsiasi mezzo», ha detto lo sciatore Kristian Ghedina commentando la gara. Vero, anche se va aggiunto che l’australiano Samuel Hill, non fosse caduto a pochi metri dal traguardo (e poi, rialzatosi, è giunto ugualmente terzo) avrebbe fatto ancora meglio. Ma è andata diversamente. Così Castore-Gee ha raggiunto Polluce-Rachel sul podio degli Atherton. Anche se in realtà in famiglia c’è un terzo kamikaze, Dan, anche lui in gara nel 4x (allora Rachel potrebbe essere forse Elena... Vabbè).
Al traguardo secondo è arrivato l’eterno secondo, Steve Peat – pure lui inglese – e terzo, come detto nonostante la caduta, l’asso Hill (nomen omen: collina). Va bene così, visto che aveva già intascato un paio di Mondiali. Spazio per tutti.
Non è un paese per vecchi, dunque. E allora per il brindisi, anziché il più canonico e formale champagne si preferisce la birra. «Birra, birra», chiede l’australiano Rennie Nathan, assetato, dopo la prova. È arrivato ventunesimo, ma non si preoccupa più di tanto. Dietro una barba da Fidel Castro e una pelata costruita ad hoc con tanto di rasoio – tipo Johnny Depp in «Paura e delirio a Las Vegas» - i suoi ventisette anni sembrano quaranta. Ma la follia è quella di un dodicenne. Non hai paura a scendere in picchiata da quei sentieri? Lui si guarda intorno quasi non volesse farsi sentire e poi dice «no, sinceramente no. Mai. Mi piace sentire le sensazioni che ti dà il cuore che batte a duecento». Corre per la Santa Cruz Syndcate ed è l’unica cosa che ci tiene a far sapere. Per il resto, l’unica cosa che gli importa è andarsene a casa dopo la gara con una borsa di nylon piena di birre. Presentandosi, aveva alluso a una caduta nel bosco e a questa sua passione scrivendo su un bigliettino: «Rennie, crashed in tree, loves beer» (Rennie, distrutto nell’albero, ama la birra, si potrebbe tradurre).
In gara, subito prima di lui, ventesimo, è arrivato Alan Beggin. La speranza azzurra. Lui anni ne ha ventitrè e si vede, anche se non toglie il casco nemmeno per firmare autografi. Capelli biondi, occhi vispi è disponibile, per nulla contrariato anche se alla vigilia della prova mondiale qualcuno sperava addirittura che potesse arrivare sul podio. Lui è sereno: «Macché podio! Forse avrei potuto fare tre secondi in meno e arrivare nei quindici. Ma a metà discesa avevo le braccia che mi facevano male e ho preferito rallentare, piuttosto che finire a terra. Perché, hai visto? La pista era bella, liscia e asfaltata», ironizza su un tracciato che bisogna percorrere schizzando sopra le asperità del bosco, come salta sopra le onde una pietra piatta scagliata forte.
Non è un paese per vecchi. E nemmeno una specialità per vecchi. Con lo sguardo che questi ragazzi devono sempre tenere inchiodato quattro o cinque metri avanti. Conoscono a memoria il tracciato e si proiettano nel suo futuro di qualche secondo. A volte però la cognizione tradisce e la mappa si perde. Così si finisce a gambe all’aria. Ma questo meglio che i vostri genitori non lo sappiano. Altrimenti vi bucano le gomme prima ancora che cominciate.
Maurilio Barozzi
L’Adige, 22 giugno 2008
L’ARTICOLO
Pubblicato a pagina 56 con il titolo “Una discesa dove la paura è vietata” e l’indicazione “dall’inviato Maurilio Barozzi” sul quotidiano l’Adige del 22 giugno 2008.