Maurilio Barozzi
Finale entusiasmante, vince Piacenza
lunedì 18 maggio 2009
TRENTO - Amaramente, per due miserrimi punti, lo scudetto del volley è tolto dalle maglie di Trento per essere cucito su quelle di Piacenza.
Due punti, 15-13, che hanno deciso uno scudetto dopo una serie dura, combattuta e infine spietata come lo sport e le sue regole sanno essere. Ma è proprio in questi momenti, indigeribili, che si deve reagire, come recita il finale del capolavoro di Rudyard Kipling.
«Se riuscirai a riempire l'attimo inesorabile/ e a dar valore ad ognuno dei suoi sessanta secondi,/ allora il mondo sarà tuo, con quanto contiene, /e - quel che è più - tu sarai un Uomo, ragazzo mio!».
Ieri, a giudicare dalla reazione sportivamente composta dei giocatori dell'Itas dopo una sconfitta bruciante, come può essere quella di uno scudetto che se ne va per un paio di punti persi, quei ragazzi sono diventati uomini.
Il match è stato epico. Con tutti i crismi della tragedia, il fascino della rivincita, il tormento dell'ultimo urlo, quello liberatorio, strozzato in gola. Lo avevano strozzato, quell'urlo, i piacentini, mercoledì scorso, durante gara quattro quando, in vantaggio per due a uno nella serie, si sono visti affogare la speranza di festeggiare nel loro palazzetto da una prestazione spettacolare dell'Itas.
Condotta da uno Stoytchev che come Ulisse contro il Ciclope s'è inventato lo stratagemma dei cambi tattici, con Dore Della Lunga e Riad in campo dall'inizio al posto di Michal Winiarski e Marco Piscopo, l'Itas se n'era tornata a Trento con un risultato eccezionale. E la consapevolezza di potersi giocare davanti ai suoi tifosi - ieri 4.600 persone al PalaTrento - la partita decisiva. A Piacenza era rimasto quell'urlo strozzato, che ormai nessuno aveva più il coragvgio di ricordare. Come invece ricordavano, rimuginavano, forse addirittura sognavano quella frase che, coniata dall'allenatore dell'Inter José Mourinho, ora sta andando molto di moda: «zero tituli». E questo era il proemio epico di questa sfida: Piacenza che era stata finalista tre volte consecutive e che rischiava di essere, ancora una volta, seconda.
A Trento, si pensava già ad Achille ed Ettore. Achille, spietato, che dimostra sul campo di battaglia la sua superiorità su Ettore. Così hanno preparato il trionfo. Bandiere, scudetti già disegnati, vessilli tricolore esibiti in tribuna. Contemplando anche, secondo tutti i crismi dell'epica classica, il ruolo degli dei: «Neanche Hristo vi salverà», inneggiava uno striscione nella curva trentina. Un po' meno apocalittici, ma sempre legati alle Sacre scritture, i tifosi giunti apposta da Ostra (Ancona) per sostenere Andrea Bari: «Chi volete libero? Bari o Barabba?».
La bellezza di Ri-Adone, in campo dall'inizio e autore immediatamente di un paio di muri superbi, le battute ritrovate di Kaziyski e i filotti vincenti di Della Lunga, il rapporto quasi carnale che l'opposto trentino Leandro Vissotto stabilisce tra i suoi servizi e il nastro della rete, poi, fa apparire quasi palpabile che gli déi dovevano essere con Trento.
Poi qualcosa s'incrina. S'insinua il blasfemo. Assolutamente manifesto quando tra la folla gialloblù inferocita e l'auriga-presidente Guido Molinaroli inizia un battibecco a suon di gestacci e cori irriverenti. Deve intervenire anche il numero due della lega Volley Massimo Righi per sedare gli animi e per ricordare che il romanzo dello scudetto si sta scrivendo in campo, non sulle tribune. «È tutta gente di cuore, e assolutamente perbene. Ma in certi casi bisogna riportarli un po' all'ordine», racconterà in seguito.
Zlatanov, che di nome fa Hristo, pensa però di rivedere il finale. Ettore che batte Achille. Nel quarto set, sul 12-13, va in battuta e non bacia il pallone, come fa sempre. No, stavolta gli parla. Frasi carine, suppongo, visto che fa un ace. Poi un altro e dunque un altro ancora, fino al 12-16. È il preludio al tiebreak decisivo. E chi di tiebreak ferisce, stavolta, dopo cinque successi e una sconfitta, di tiebreak perisce.
Quando ormai il duello finale è all'ultimo sangue, sul 13-11 per Trento deve andare in battuta l'angelo sterminatore Matey Kaziyski. Il general manager Beppe Cormio ha in mano il pallone e prima di darlo allo schiacciatore bulgaro lo bacia, a lungo. Poi però, quando è il momento di servire, l'ignaro Kaziyski ne sceglie un altro.
E da allora ogni punto sarà di Piacenza. Lasciando in gola ai tifosi trentini un nodo gordiano, l'urlo per lo scudetto, che solo un colpo di scimitarra, all'inizio del prossimo campionato, potrà recidere.
Maurilio Barozzi
L’Adige, 18 maggio 2009
L’ARTICOLO
Pubblicato in Prima pagina come apertura del giornale sul quotidiano L’Adige del 18 maggio 2009 con il titolo “Grazie lo stesso, ragazzi”