Maurilio Barozzi
2011. Giro d’Italia, Nieve sul Gardeccia
lunedì 23 maggio 2011
RIFUGIO GARDECCIA - Stavolta Re Laurino ha trasformato i fischi in applausi. Gli improperi che Alberto Contador si era beccato sabato sullo Zoncolan, reo secondo alcuni di essere il deus ex machina della decisione di tagliare dal percorso il monte Crostis, ai battimani di ieri sull'arrivo del Gardeccia. Lui prende e porta via con lo stesso sorriso equino di quelli (fischi) che prese quella volta che al Tour de France attaccò Andy Schleck quando a quest'ultimo saltò la catena. Uguale. Lui prende e porta via. In realtà prende molto ma non porta via moltissimo perché, se qualche cosa va detto su questo atleta è che è l'unico che mano a mano che il Giro procede dimostra di avere in gruppo molti, molti amici. Uno come lui, che sta correndo con una possibile squalifica per autoemotrasfusione che gli pende sulla testa come una spada di Damocle, a rigor di logica dovrebbe avere più nemici in gruppo, che viceversa. Non è così. Spesso arriva secondo (ieri - per la cronaca - terzo dietro al navarro Mike Nieve e al redivivo Stefano Garzelli), calcola costi e benefici di uno scatto prima di farlo. E poi ne incassa il tributo. Sia in termini di classifica, dove pare abbia sbagliato poche volte, sia di simpatia. "Bueno", dice. Mostra la dentatura sovradimensionata per il suo volto e il suo fisico e passa ad altro.
E così, ieri, il tappone dolomitico terminato sul Gardeccia dopo 229 e cinque passi spaccagambe ha sancito la pace tra lo spagnolo e i tifosi del ciclismo. La montagna sa fare anche questo. La montagna in realtà è strana. Bisogna saperla vivere, perché altrimenti ti sfianca. Sempre. Il sole scotta, ma se sparisce fa freddo. In un amen, poi, si mette a piovere. Proprio come ieri, quando verso le tre e mezza Giove pluvio ha deciso di aver dato sufficiente tregua ai tifosi che erano arrivati fino lassù sfidando le erte e la pletora di divieti che sempre abbonda al Giro d'Italia. Loro, i tifosi, si sono presentati in massa. Molti sono saliti a piedi da Vigo di Fassa fino al rifugio Gardeccia, precedendo e testando la strada che avrebbero poi percorso i ciclisti, questi uomini senza faccia e senza timori e senza soglia del dolore che sarebbero comunque l'oggetto ultimo dell'interesse. E la montagna aiuta anche in questo. Qualcuno pensa che la gente adori mettersi sl ciglio di un tratto di strada più erto perché gode a veder soffrire il ciclista. Niente di più sbagliato. Il primo motivo lo spiegava ieri con delicatezza un papà alla figlia (e pure alla moglie) che avrebbe voluto fermarsi in un tratto più dolce. "Tesoro, se ci mettiamo lì salgono talmente veloci che non riesco nemmeno a dirti il nome. Non ce li possiamo godere". Appunto. In salita puoi godere per molti secondi del tuo ciclista preferito. Volendo gli puoi correre vicino. Gli sciagurati arrivano perfino a toccarlo mentre lui sbava fatica, grinta, rabbia. Mentre pedala. E' quello che è successo anche ieri sul Gardeccia ad un Garzelli ormai sfinito, dopo aver cavalcato in testa alla gara fino a sei chilometri alla fine. Lui ovviamente lì per lì se l'è presa. Ma poi, a freddo, ha chiesto scusa. Del resto, in che sport puoi allungare la mano e toccare il tuo campione mentre esegue un gesto tecnico?
E' vero, mentre un ciclista pedala in salita la sofferenza è compagna di strada. Ma spesso è proprio dalla sofferenza che esce il meglio. Per esempio, dice la leggenda che Laurino, sofferente per aver perso la figlia ad opera del Cavaliere del Destino, trasformò il suo giardino delle rose in roccia, proprio quelle che circondano il Gardeccia. Gilberto Simoni ha spiegato lucidamente cosa significhi per un ciclista salire su una salita del genere. "Non capisci più niente, non vedi nessuno. Ci sono solo colori e grida che anestetizzano al dolore. Dolore che poi scemerà solo se vinci". Precisava qualche tempo fa Danilo Di Luca, quando ancora arrivava con i primi e i giornalisti lo osannavano: "La poesia nella pedalata la vedete solo voi. Per noi c'è solo la strada e la fatica". E di fatica ieri ne hanno fatta per sempre, i corridori. Cinque gran premi della montagna e quasi sette ore e mezza su un sellino rigido e minuscolo. E tutti, su quegli ultimi strappi del Gardeccia, di fatica ne hanno fatta da vendere. Ma i primi almeno avevano un obiettivo da difendere. Per quelli arrivati dopo - alcuni anche molto dopo - solo sofferenza, pioggia, e ai più fortunati la spinta di qualche generoso spettatore che alla fine non sa nemmeno chi abbia aiutato.
A fine tappa due amici, scendendo a piedi dalla vetta, commentavano. "Sei ancora convinto di volerla provare", chiede uno. "Mah", fa l'altro spostando con un calcio una pietra finita sull'asfalto. Per farlo contento, gli faccio sapere che può anche cronometrarsi, se crede. Sul Gardeccia, Contador è andato su in 20'37", a 18,04 km all'ora di media. Dopo altri quattro passi. Lo Zoncolan del giorno prima e il Grossglockner di venerdì.
Maurilio Barozzi
l'Adige 23 maggio 2011
L’ARTICOLO
Pubblicato a pagina 26 con il titolo “Alberto fa pace con 50 mila” e l’indicazione “dall’inviato Maurilio Barozzi” sul quotidiano l’Adige del 23 maggio 2011.