Maurilio Barozzi
Oporto, ritorno sul Duero
martedì 23 ottobre 2012
OPORTO (Portogallo) - Ritorno sul fiume Duero. Alla foce si chiama Douro, non è più in Spagna, ma in Portogallo, nel nord: a Porto. Una decina d’anni fa, dalle parti di Soria per scrivere «Spagna». Oggi qui, turista, fagocitato dalle ripide escadas che dal cuore della città portano sul fiume. Marginal, si chiama il lungofiume. In brasiliano un marginal è un mezzo delinquente senza dimora, qui a Porto è il luogo più vivo della città. Turisti che bivaccano nei baretti, venditori di inutilità, ritrattisti, madonnari, noleggiatori di bici e fruitori. Un viavai di due ruote: strano, pensando che Porto è tutta un su e giù di scale e rampe lastricate. Ma giù, sulla riva del Douro, biciclette sfrecciano assieme a corridori e salutisti in tenuta sportiva, evaporanti la sbaraccata della sera prima. Raggiungono la foce zigzagando le canne che i pescatori adagiano sulla strada e poi su, lungo l’oceano fino al Castelo do Queijo dove l’onda arriva a riva, richiamando masnade di surfisti. Case rinnovate con enormi vetrate luminose e giardini qui sostituiscono le variopinte e affastellate – spesso giustapposte – abitazioni del Cais da Ribeira, il quartiere sulla banchina del centro storico. Qui, Foz do Douro, più Ipanema che Portogallo.
A ritroso verso il centro. Il Cais Ribeira è la cartolina di questa città, che lega nome, destino e storia all'acqua. Il pittoresco, oggi, è la rua des Flores traboccante negozietti che sembrano usciti da un book anni Venti. Ero salito dal Cais attraverso l'Escada des Verdades: scale alte, ripide, vere. Costruite nei tempi in cui servivano e basta, senza pensare alle comodità. Poi mai rifatte. Sopra la testa poco cielo: pareti di case, balconcini, panni stesi svolazzanti mischiati a stendardi rossoverdi del Portogallo o azzurri del Porto. Una città di grandi salite, molti gradini, enormi finestre, pochi restauri, svariate cantine – di Porto, principalmente – e negozi di vino, bottiglie e salumi.
Le guide consigliano di pranzare al Porto a Noite, rua Mescadores. Lungo, stretto, chitarre e foto appesi alle pareti. E fado nell'aere. Il cameriere è affabile ma per a conta la simpatia conta poco: stuzzichini d'ingresso che invogliano – ma finiscono infingardamente a carico – e l'Iva al 23%, que dolor!
La delusione del Palacio de Cristalo – palazzetto dello sport che ti guadagni con una salita da skyrunner – è lenita dalla discesa e da un pasto fuoriprogramma al Carequinho, Rua de Restauração: bistecca di tacchino, contorno, birra, caffé e l'aguardiente della casa a 13 euro. Niente male, davvero. E da Sandeman, cantina del Dom – sombrero spagnolo e mantello degli universitari portoghesi. Si percorre la cantina, si strusciano le botti, si degustano i prodotti: Porto Apitiv bianco, tinto Tawny e il prestigioso Vintage. Era la mano a tremare, poco dopo, o il ferroso ponte Dom Luis I al passare della metro, mentre scattavo foto?
Sempre Sandeman, cantina buia che non sente crisi: il Porto va. Non più sui barcos rabelos ma su camion cisterna. Non si deve perdere nulla , come invece accadeva quando le botti erano legate assieme per non scappare con la piena che allagava le cantine. Ancora sul Douro non c'erano dighe e i frangiflutti alle porte dell'Oceano erano fantasia pura.
In città, il museo d'arte contemporanea Fundação Serralves mantiene le promesse. Bene e male: chi apprezza il genere sguazza tra minimal art e installazioni video, quadri che aggettiva concettuali. Ma chi ama il Rinascimento può dedicarsi con maggior profitto al Porto: la palingenesi è più sicura. Per il botanico e l'amante del silenzio valgono invece il biglietto il ristorante sul terrazzo e il giardino esterno: rigogliosi alberi a guisa di sombreros.
A differenza dei pigri, non temono le ladeiras e le descidas, gli autobus. Che passano frequenti. Assieme alla metro servono ogni angolo della città e si alternano ai pittoreschi tram su rotaia. Così non temono la crisi economica i matrimoni. Due celebranti in tre giorni, giù al Cais Ribeira – con foto ricordo su, al ponte di ferro, cugino lillipuziano della Torre Eiffel; e tre negozi di abiti nuziali sulla ripida rua de Janeiro. Forse temono invece l'inverno – ora va bene, ottobre mite e senza pioggia – i senzatetto che preparano letti di cartone nell'androne di qualche edificio. Ma – forse per il barbone che anch'io mi porto in faccia – non scassano troppo o saco con richieste di soldi o gorjetas.
São Francisco, sempre lui, oro e luccichio. Risposta portoghese a Salvador de Bahia e Ouro Preto, brasiliane chiese sfavillanti. Almeno qui a Porto hanno avuto il buon gusto di sconsacrare l'edificio: troppo sfarzo, sfrontato in fronte alla miseria.
E più St Louis che Europa al Tribeca jazz club. Ogni sera si suona nel locale fumoso – ormai ricordo nell'Unione dei giganti economici...
Maurilio Barozzi, ottobre 2012